3 post pubblicati. da presentare e suddiviso in 2 parti a tema e 1 pack, poiché 1 è stato il pack presentato ed apprezzato a lezione:
zero post a questo, quindi non valido come argomento-chiave. Il soggetto di questo post, già discusso nella lezione n 12 del 10 maggio, avrebbe dovuto includere aspetti integrati, ossia tra il tema scelto e l'esperienza, o parte di essa, acquisita nel corso. E' un buon post, ma non valutabile poiché non contiene i requisiti richiesti.
GRUPPO T
“Mettere in dubbio le proprie certezze ponendole nella dimensione relativistica dell'essere e dell'apparire è, in ultima analisi, ciò che distingue l'umanità. L'intelligenza individuale, relazionandosi con “l’altro”, attraverso la convivenza sociale, la tolleranza, l'accettazione del differente pensiero, situazione, ambiente; trascende l'etica e si fa estetica.”
Questa mutevolezza dell'apparire è alla base della ricerca di gruppi artistici italiani che con notevole originalità si sono distinti nel quadro internazionale dell'arte degli anni '60. Questi gruppi nascono a Milano, a Padova, a Parigi, a Dusseldorf, in Spagna, con l'intento di “creare”, seguendo dei comuni denominatori. Si chiameranno, rispettivamente: Gruppo T, Gruppo Zero, Gruppo N, GRAV (Groupe de Recherche d'Art Visual), Equipe 57, Azimut, Miriorama.
Il comune denominatore di questi gruppi è il movimento che si realizza con l'Arte cinetica, Arte Programmata e Optical Art . Partendo dalle premesse poste dagli artisti delle avanguardie storiche, giungevano alla realizzazione di opere di grande impatto, al passo con i tempi, anni in cui decolla la consapevolezza che la società e il mondo del lavoro mutano velocemente.
“Nel 1959 nasce a Milano il Gruppo T, composto da cinque studenti dell’Accademia di Brera (Giovanni Anceschi, Davide Boriani, Gabriele De Vecchi, Gianni Colombo, Grazia Varisco), di una decina d’anni più giovani di me, che affrontano le tematiche dell’Arte programmata.”
Enzo MARI, 25 modi per piantare un chiodo, ediz. Mondadori, Milano, marzo 2011, 1° ediz., cap. V, pag. 43
Il Gruppo T (dove T è l'iniziale della parola tempo) che si costituisce a Milano nell'ottobre del 1959, è fondato da un gruppo di frequentatori dell'Accademia di Brera che rispondono ai nomi di Giovanni Anceschi, Davide Boriani, Gianni Colombo, Gabriele De Vecchi e Grazia Varisco. Incanalandosi nel vasto filone della ricerca cinetica ed ottica, questi artisti si pongono come obiettivo di indagare le relazioni spazio-temporali che intercorrono fra i diversi aspetti della realtà, un fiume di avvenimenti in continua mutazione per adeguarsi ai quali anche l'opera d'arte deve inglobare in sé la variazione, così come sono variabili gli elementi costitutivi dell'opera stessa, luce, colore, forma, che non vengono negati, ma reciprocamente relazionati in modo nuovo.
Il gruppo si occupa di interior design e realizzazione di rappresentazioni virtuali per consentire ai clienti di intervenire, modificando ambienti e arredi, e scegliere la soluzione abitativa più consona alle loro esigenze. Nella produzione artistica del Gruppo T trasuda un’idea principalmente collettivistica dell’operare artistico. La proficua sperimentazione e ricerca dei componenti del gruppo si focalizza principalmente su due concetti: l’interattività e l’adattabilità, che rompono totalmente con la tradizione artistica contemporanea.
Attraverso un lavoro collettivo, partendo dalle ricerche dinamico strutturali nell'applicare al lavoro artistico le tecniche industriali e dell'industrial design, il gruppo si interessa al rapporto arte-ambiente, realizzando environments ottico-cinetici, tesi a mettere in dubbio il rapporto col fruitore attraverso false prospettive e varianti percettive. Le illusioni ottiche prodotte dal Gruppo T sono sorprendenti e piacevoli, in grado di far comprendere i complessi meccanismi della visione e della percezione proprio a tutti gli spettatori. In alcuni casi, movimento e illusione può anche creare disorientamento nel visitatore, chiamato egli stesso ad interagire con gli ambienti e le opere, come nel caso della Camera stroboscopica di Davide Boriani.
Si entra in un ambiente che cambia continuamente conformazione, per un gioco di specchi e forme, il passaggio non è obbligatorio ma muta di continuo.
È un’arte, questa, “immersiva e interattiva”, come la definirono proprio i componenti del gruppo. Tutte le loro opere mutano interagendo col fruitore e il loro movimento, a volte, deriva semplicemente da come sono stati piegati dei fogli di carta e dal nostro modo di osservarli.
L'ambiguità ottica è presente in molte opere e spesso la stessa percezione viene chiamata in causa dalle opere. Così il visitatore della mostra si troverà a volte davanti a quadri fortemente simmetrici, regolari, “seriali”, a volte davanti ad atmosfere fantastiche, a giochi di luce, a oggetti volanti, a mattoni mobili, a luci psichedeliche, a pavimenti roteanti, a rifrazioni di colore, o forse si troverà davanti a semplici illusioni.
Studiando il Gruppo T ho compreso quanto, a volte, le illusioni ottiche siano molto più piacevoli della realtà, perché ci portano a sforzare la mente per capire come sia possibile, ad esempio, che un’immagine stampata su un foglio di carta e quindi necessariamente immobile appaia invece ai nostri occhi in movimento. Questo gioco ottico si può creare anche semplicemente piegando la carta in modo che osservando l’oggetto finito si abbia l’illusione che muti continuamente la proiezione prospettica.
Link immagini di riferimento:
http://www.artnet.de/magazine/op-art-in-der-schirn-kunsthalle-frankfurt/images/12/
http://binat.wordpress.com/2008/08/27/226-spazio-elastico-architettura-cacogoniometrica-di-gianni-colombo/
http://accessibleartny.com/index.php/2011/07/illuminations-in-the-padiglione-centrale-other-collateral-events-and-off-site-pavilions/
http://sapere.virgilio.it/gallery/ZERO_19581968_Tra_Germania_e_Italia.html,zoom=836&mode=print.html
http://www.undo.net/it/magazines/1208277781
http://www.wikiartpedia.org/index.php?title=Arte_cinetica_e_programmata
http://www.undo.net/it/magazines/1208277781
http://www.gabrieledevecchi.it/opera.php?idO=10
http://www.facebook.com/GruppoT#!/photo.php?fbid=109894842376789&set=a.109893985710208.8885.109892245710382&type=3&theater
Lea Vergine è una delle studiose d’arte più famose in Italia e all’estero. I suoi saggi, le sue scoperte, le sue sollecitazioni sui nuovi linguaggi e sul destino dell’espressione artistica hanno da sempre suscitato il dibattito culturale.
È conosciuta soprattutto perché una delle prime persone ad essersi occupate del fenomeno della Body-art, pubblicando nel 1974 Body art e storie simili. Il corpo come linguaggio (Skira, 2000), che fu subito un grande successo editoriale, recensito da alcuni dei più autorevoli storici dell’arte e letterati, come Giulio Carlo Argan, Edoardo Sanguineti, e tanti altri. L'uso del corpo come linguaggio e strumento di sperimentazione artistica è un tema molto caro a Lea Vergine.
Trionfante, sacrificato, diffuso, propagato, drammatico, tragico; corpo politico, sociale, estremo. Corpo come il più antico strumento di comunicazione per dire “hic et nunc” attraverso il tatuaggio, il piercing, le citazioni tribali, le manipolazioni degli organi; corpo come tutto ciò che si comunica senza la parola, il suono, il disegno.
Col fenomeno Body Art, per la prima volta nella storia dell’arte, il corpo umano si sostituisce alle sue rappresentazioni, diviene «il soggetto e l’oggetto dell’opera», secondo la celebre definizione che Willoughby Sharp ne fornisce nel 1970 su Avalanche. È l’auto-rappresentazione del corpo dell’artista stesso a porsi come opera attraverso una serie di azioni che si dileguano nell’hic et nunc della loro mise en scène, mettendo in atto uno slittamento che azzera le tecniche artistiche tradizionali e contemporaneamente ogni diaframma tra opera e artista, soggetto e oggetto, arte e vita, in quanto “la Body Art rappresenta un’estensione liberatoria di materiali e segni, o indica un’ansiosa mancanza di rappresentazione del corpo, un collasso letterale della figura dell’arte nel terreno del corpo”.
Lea vergine è inoltre conosciuta per aver scritto Quando i rifiuti diventano arte. Trash rubbish mongo (Skira, 2006). Il volume si propone di verificare il significato del fenomeno trash nell’arte contemporanea, risalendo dai primi decenni del XX secolo (Boccioni, Carrà, Depero, Picabia, Schwitters, Oppenheim), ai protagonisti degli anni Sessanta e Settanta (Burri, Kounellis, Fontana, Vautier, Rotella, César, Arman, Manzoni, Pistoletto, Beuys, Spoerri), per arrivare fino ai giorni nostri (Cragg, Parmiggiani, Boltanski, Sherman, Bourgeois, Serrano, Cavaliere, Cattelan). L’analisi non si limita all’arte figurativa, ma attraversa la scoperta dell’utilizzo del rifiuto anche in altri ambiti espressivi come l’architettura, il cinema, la danza, la musica, il teatro, proponendo in tal modo una lettura articolata di un fenomeno che appare tuttora in divenire.
Nel ‘65 conobbe Enzo Mari, che in seguito divenne suo marito. Il designer descrive il loro primo incontro dicendo:
“Nel 1965 ricevo un biglietto da Napoli, da una certa Lea Vergine, critica d’arte: mi dice che sta per dare il via a una rivista di architettura, arte e design dal titolo <<Linea Struttura>> … quindi mi chiede un appuntamento a Napoli. Prendo il treno e mi presento all’ora concordata … aspetto … Passa un quarto d’ora, ci guardiamo: la signora si alza, viene verso di me, io vado verso di lei. <<La immaginavo molto più basso>> mi dice … ma anch’io mi ero sbagliato … mi ero convinto che fosse una vecchia professoressa.”
Enzo MARI, 25 modi per piantare un chiodo, ediz. Mondadori, Milano, marzo 2011, 1° ediz., cap. V, pagg. 47-48
Nella loro abitazione milanese ogni angolo parla di arte e design. D’altronde non poteva essere diversamente per una coppia di creativi come loro. Due personalità forti, due vite intense. Una casa piena di storia, cultura, arte e design. Poco catalogabile, poco comune, molto personale.
La loro casa è un primo piano che sembra un pò fuori dal mondo: oggetti e prototipi d'industrial design, opere d'arte e libri stazionano su mensole, tavoli, pareti. Un teatrino di Carol Rama, i marmi di Trotta, una tela bianca di Enrico Castellani, un lavoro in carta dello scultore Nagasawa: spesso Lea li sostituisce, o li espone a rotazione nelle stanze.
Per ogni pezzo, Enzo ha una storia da raccontare: le prime lampade del sistema Aggregato di Artemide, le librerie a cubo Glifo, un carrello Geremia e alcune sedie Tonietta di Zanotta, un divano presto uscito di produzione per Driade, sedie di plastica forata Box di Anonima Castelli, un tavolo per Print, molti begli oggetti di Danese.
La loro è quindi una “casa che pensa”. Per entrambi il design vero è ispirato dalla ricerca, dalla follia e dalla passione. A tal proposito Lea Vergine, nel suo ultimo libro, Parole sull'arte (Il Saggiatore, 2008), scrive: “Ho sempre privilegiato chi, nei riguardi dell'arte, nutre diffidenze e perplessità, ma anche curiosità e speranze. L'arte, per meritare questo nome, deve avere funzioni non solamente estetiche: deve toccare qualcosa in noi che va oltre il puro piacere della contemplazione, deve rappresentare e contenere un'idea”.
Link immagini di riferimento:
http://www.ddmortara.it/alunni/alunni_quinte6.htm
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